Medico, mamma e alpinista hymalaiana dal 2003. Annalisa Fioretti classe ‘77 è una donna forte e decisa. Dopo aver assistito al tragico terremoto che ha colpito il Nepal nell’aprile del 2015 e aver aiutato sul campo la popolazione locale con la sua esperienza, ha deciso di mettere a disposizione le sue capacità e fondare da un lato la onlus Il nodo infinito, dall’altro di dare vita a Torvagando. Un progetto umanitario ideato insieme al suo compagno di cordata Giampiero Todesco che ha lo scopo di raccogliere fondi che serviranno per costruire una scuola a Kathmandu scalando venti torri fra le più belle d’Europa. Come ci racconta Annalisa su Vertige.
Tu sei mamma, medico e alpinista. Da poco hai avviato un progetto per raccogliere fondi per la costruzione di una scuola in Nepal. Ci puoi raccontare qualcosa di più?
Nell’aprile del 2015 mi trovavo in Nepal, ero lì perché avrei dovuto scalare il Lhotse. Ma arrivò un sisma devastante, ci furono molti morti e feriti. Ma invece di tornare a casa decisi di restare nel luogo e di mettere a disposizione la mia passata esperienza in pronto soccorso e con l’aiuto di un collega istituii dei campi medici per gestire la massima emergenza. Rimasi nel paese per un mese e mezzo per dare assistenza alla popolazione.
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Qualcosa di molto forte. Una volta tornata a casa capii che avevo voglia di fare qualcosa in più. Così con il mio compagno di cordata Giampietro abbiamo deciso di portare avanti un duplice progetto: da un lato abbiamo fondato una onlus tutta nostra. Purtroppo imbattendoci in altre associazioni ci siamo resi conto che tutto non era trasparente come avremmo voluto; e inoltre stiamo andando avanti Torvagando. Un progetto umanitario di arrampicata: scalando le torri raccogliamo fondi per la costruzione di una scuola in Nepal.
Quindi riesci a conciliare due aspetti rilevanti della tua vita: la medicina e la montagna?
Hai saltato un particolare, (ammette ridendo) al momento sono un medico disoccupato quindi riesco a gestirmi meglio! Però posso dirti che oggi non so se sono prima medico o alpinista, purtroppo o per fortuna spesso le due passioni sono andate sempre di pari passo.
In che senso?
Altre volte, prima del Nepal, in diverse altre situazioni sono stata coinvolta nei soccorsi e sono stata costretta ad abbandonare le spedizioni. Ma ti garantisco che rifarei tutto: nonostante in cima non ci sia mai arrivata, so di aver salvato chi aveva bisogno. Questo mi rende felice.
Uno spirito umanitario, lo hai dimostrato in Nepal, quando al contrario degli altri medici che hanno preferito abbandonare la situazione critica, hai deciso di restare a dare soccorso.
Non sto a giudicare chi è scappato, è possibile che molti di loro non abbiano mai vissuto un’esperienza estrema come quella, e non tutti reagiamo allo stesso modo. Si trattava di gestire una situazione tutt’altro che facile. Tieni conto che sono un medico pneumologo, con il sangue non ho molto a che fare, e lì davvero sembrava di essere in guerra, ho dovuto rispolverare la mia esperienza passata in pronto soccorso.
Da alpinista qualche soddisfazione te la sei tolta?
Nel 2013 ho fatto il record femminile su una montagna di 8000 metri e sono arrivata a 100 metri dalla cima senza ossigeno, (Annalisa pratica sempre senza ossigeno). Alla fine però non ho toccato la montagna e sono venuta giù, ma ho portato a casa quattro persone che stavano male. Una duplice soddisfazione.
Come è nata la passione per l’arrampicata?
Un po’ deve essere scritto nel mio DNA. Mia nonna indossando gonne e scarponi, partiva per prendere la corriera per Lecco per arrampicarsi sulle Grigne. Lasciava da parte le dicerie –lei donna del 1912 in mezzo a tanti uomini- e andava a conquistare la sua vetta. Un po’ perché quando ero bambina vedevo dal balcone dei miei la Grignetta e mi ripetevo “un giorno io arriverò lì”… poi in realtà sono andata oltre. Prima la camminata e poi l’arrampicata di nascosto dai miei. Così ho abbandonato il nuoto, che praticavo a livello agonistico, e dall’acqua sono passata all’elemento terra.
Come riesci a conciliare tutto?
È un gran casino (ammette ridendo)! I bambini un po’ soffrono della mia assenza, soprattutto la piccolina. Nelle spedizioni spesso mi sono portata dietro un suo pupazzo, più che un compagno di avventura è un compagno di fotografie che poi le invio per farla sentire vicina a me. Gesto che non sempre è servito, mia figlia è testarda mi manifesta il suo rifiuto evitando di parlarmi al telefono quando sono via. È dura, ma un giorno capirà il perché della mia scelta come la capisce il maschio che per ogni spedizione di Torvagando mi presta la bandiera che gli portai da uno dei miei viaggi in Nepal. È un simbolo, a Giole, sembra di essere arrivato con me in cima perché la sua bandiera è lì con me, piantata nel terreno a metri e metri di altezza.
A poco a poco riusciranno ad accettare la tua assenza e la tua passione.
Sì, certo! Io gli racconto sempre tutto e li coinvolgo quanto posso. Per un breve periodo hanno avuto anche una “terza sorella”.
Cioè?
Un anno a causa di una valanga non eravamo riusciti a scalare, lo scrittore David O. Relin, autore di Tre tazze di The, ne approfittò per farmi visitare una ragazzina che poi si scoprì essere affetta da una grave cardiopatia. Con una raccolta di soldi riuscii a portarla in Italia e farla operare all’ospedale di San Donato, una volta dimessa ha vissuto a casa nostra per un po’. Loro, i miei figli, si ricordano ancora di questa esperienza, soprattutto del suo mangiare senza posate!
Quante montagne hai scalato a oggi?
Non ho raggiunto nessuna cima, ma al momento ho scalato cinque montagne. Avrei dovuto salire anche sul K2, che resta un sogno, ma poco prima di partire siamo stati costretti ad abbandonare l’impresa. Era morto il nostro capo spedizione e la moglie ci chiese di andarlo a cercare.
Rinunceresti a fare il medico per essere solo un’alpinista?
No, non si riesce a vivere solo scalando. E poi fare la mia professione mi piace, mi permette di entrare a contatto con la gente. Come è successo in Nepal dove tornerò per fare un campo medico a ottobre.
Cosa ti hanno lasciato i nepalesi?
La positività. Anche dopo il terremoto nonostante le continue scosse di assestamento hanno ripreso a vivere. Sono stati capaci di adattarsi alla situazione, di accontentarsi. Sanno sorridere.
Per una donna è facile entrare nel mondo degli alpinisti?
No, tutt’altro! È un mondo maschile. Pensa che anche con il mio compagno di spedizione abbiamo avuto anche qualche scontro: poco prima di partire per il Kangchenjunga, mi disse che non era sicuro di volermi portare con sé. Gli feci capire che io ero lì solo per dimostrare a me stessa e a nessun altro che sarei riuscita nell’impresa, come poi dimostrai battendo io la traccia. Questo sai perché? Perché noi donne abbiamo più testa, non ci mettiamo in competizione e non giudichiamo. Andiamo avanti per i nostri obiettivi senza esagerare. Al contrario di molti uomini che rischiano per dimostrare chissà cosa e rischiando perdono la vita. Loro non hanno pazienza. Sapessi quante volte mi è capitato di stare in tenda per giorni aspettando di proseguire per trovare condizioni ottimali. Ecco in quel caso sono gli uomini, più spesso, a mollare e tornare giù. Gli stessi dai quali spesso sono stata giudicata perché lasciavo i figli a casa per seguire la mia passione.
Anche perché se non avessi avuto il senso di maternità non avresti seguito il progetto per costruire una scuola in Nepal e offrire una cultura a venti orfani?
No infatti!
Tu hai scritto anche un libro per raccontare del Nepal, giusto?
Un libro fotografico più che altro, finanziato da uno sponsor, il cui ricavato servirà per aiutare i nepalesi. Sono fotografie scattate durante questa intensa esperienza.
Il titolo Oltre. Nepal, viaggi al contrario tra polvere e sorrisi (si può comprare qui), da cosa prende spunto?
Da quello che ho vissuto nell’aprile 2015: l’anno in cui avevo deciso “questa volta scalo e non aiuto nessuno!” ho aiutato un sacco di persone e non ho scalato affatto. Strano vero? Ma evidentemente doveva andare così.
A che punto è il progetto Torvagando for Nepal?
Siamo a buon punto, dovrei scalare anche in Bulgaria prossimamente, approfittando di un invito a un festival cinematografico sulla montagna.
I lavori della scuola, invece come procedono?
Procedono, le pratiche burocratiche sono state gestite abbastanza velocemente grazie all’aiuto della Direttrice italiana di una onlus locale sposata con un nepalese.
A chi vi siete affidati per il progetto e il resto?
Alla popolazione locale, perché è il modo migliore per aiutarli e dar da mangiare a un sacco di persone. Sarà un edificio antisismico, con materiali del luogo.
Prossimi progetti?
Un progetto al femminile sull’Himalaya a 8000, ma ancora non voglio dire di più…
Il tuo futuro sarà in Italia o andrai via dal tuo paese?
Il mio paese resterà l’Italia. Non riuscirei a vivere altrove. Mi piace viaggiare, ma mi piace tornare a casa.
Un’esperienza con Medici senza frontiere?
Mi hanno chiamato, ma finché i bambini sono piccoli non posso andar via per un lungo tempo. Più in là mi piacerebbe. Chissà…
Seguite Annalisa sulla pagina a 8000 metri e oltre e tenete d’occhio la Onlus Il Nodo Infinito con il progetto Torvagando. Fare del bene attraverso lo sport è quello che piace a noi.