Spesso leggo le notizie relative ai grandi atleti, del running, dello scialpinismo, dello skyrunning, della corsa in montagna. Mi piace seguire le storie e il cammino di questi supereroi, e capire come fanno, se è una sorta di dono con cui nasci, oppure se è una dura conquista quotidiana. Credo che qualcuno quel dono ce l’abbia, ma altrettanto credo che la maggior parte di loro ogni giorno lotti e conquisti a piccoli centimetri ogni sofferto progresso. Solo che noi vediamo solo il risultato finale, e non ce ne rendiamo conto.
Per poter essere un supereroe ci si allena tanto, sempre, tutti i giorni, col sole, la pioggia, il caldo o il freddo, è un impegno, è quasi un lavoro. Il loro lavoro.
Per me è differente. Oggi riflettevo proprio sul fatto che anche potendo avere le carte in regola per competere con dei supereroi (e non le ho), non avrei il tempo né le possibilità economiche per allenarmi e dedicarmi a tutto questo in modo professionistico, come per altro la maggior parte delle donne, prese da mille impegni, da un lavoro che spesso ci impegna 10 ore al giorno, dall’educazione di eventuali figli, dalla convivenza con compagni e mariti, o anche solo dalla gestione della casa e della quotidianità.
E allora a noi lasciateci i sogni.
La mia Stava Mountain race
Questa volta non sono agitata come al solito. È la seconda volta che affronto una skyrace, 24km di corsa su sentieri, sassi, creste, per 1700 metri di dislivello in salita, e altrettanti in discesa. La prima ho fallito, questa volta sono determinata ad arrivare in fondo. Ho guardato il percorso, la partenza è già in salita, come piace a me. Non ci sono i primi km di corsa, che mi sfiancano, si parte subito per il bosco. Decido di tornare al mio vecchio mood, si cammina da subito, buon ritmo e regolare, e pace se rimango in coda al gruppo. L’abbigliamento Scott Kinabalu è perfetto, leggero nonostante il caldo che inizia a farsi sentire, ma con buona tenuta al vento che ci sarà in cima, e che io non patirò. Ho deciso poi, al contrario delle gare precedenti, di portare uno zainetto con dentro acqua e gel: non so dove sono i ristori e voglio stare tranquilla, anche perchè sto provando i nuovi gel di Pegaso4Sport, di cui parlerò prossimamente, e son curiosa di vedere se utilizzando questo sistema di integrazione con regolarità modifico la mia reazione alla fatica e miglioro le mie sensazioni.
Come alla Trentapassi Skyrace & Vertical, di cui racconto in questo articolo, inizia la salita e il passo regolare mi premia, passo le due ragazze davanti a me, affronto la parte più complicata e più ripida. Al monte Cornon lo spettacolo è da brividi, nonostante la fatica vedo le mie dolomiti di Brenta che mi guardano. La mia casa, la mia anima. Posso farcela. Il primo cancello è tosto, sforo di qualche minuto, chiedo di farmi passare ugualmente, c’è con me chi chiude la gara (la scopa in gergo runner), che intercede (grazie grazie grazie).. Risposta: dovremmo fermarti, ma sei in forma e puoi farcela, ti teniamo in gara con riserva, devi riuscire a raggiungere in tempo il secondo cancello.
Ringrazio per la fiducia, riparto decisa, non posso deludere me stessa. Correndo nel primo pezzo di discesa cado, dolore al ginocchio, acqua e disinfettante al ristoro, e via ancora. Senza pensare troppo, senza fermarsi troppo, che chi si ferma è perduto.
Ho sentito lungo la strada le voci di chi “faceva il tifo” e avrebbe dovuto incoraggiarmi dire “non ce la farai mai, figurati se arrivi”. Ma io ridacchiavo dentro me stessa, perché non avevo nessuna intenzione di mollare, e per la prima volta, ci credevo davvero. Stavo inseguendo il mio sogno, e non avrei permesso a nessuno di fermarmi.
Let me dream
Raggiungo il cancello del monte Agnello nei tempi. Mi dicono “sei in gara”. Piango di gioia. Provo a guardarmi intorno, è meraviglioso, nonostante lo sguardo appannato, il mio Brenta è sempre lì, e ora sorride. L’emozione è tanta, difficile contenerla. Fa niente, che esca pure, io ho passato i due cancelli, ora mi aspetta il divertimento più grande, la discesa fino a valle, conquistata con sudore e sangue (al ginocchio!). In discesa incontro nuovamente i dispensatori di parole di conforto, avrei potuto lasciarmi andare ad espressioni poco consone, ammetto che le ho pensate, ma poi ho preferito sorridere, voltarmi dall’altra parte, e correre. Correre per la gioia, correre per la soddisfazione, correre per me stessa, correre perché finalmente in discesa so farlo, correre per sentire l’aria in faccia, correre per ringraziare i monti di avermi accolto, correre per tagliare il traguardo nel tempo limite e inserirmi nella classifica del circuito, correre per godermi quel sogno che ho inseguito tanto, in cui ho creduto, che ho raggiunto, e che mi ha riempito il cuore di emozione e felicità.
Perché anche se non siamo supereroi, e piazzamenti in gara non ne facciamo, la forza e la tenacia di arrivare e realizzare i nostri sogni sono il nostro talento.
Ho finito la mia prima skyrace
Ogni tanto me lo ripeto, che mi piace tanto come suona: “ho finito la mia prima skyrace nei tempi” . A gennaio correvo a malapena 5 – 6 km di fila.
Lasciatemi sognare dicevo, prima o poi riuscirò a correre una skyrace. Ho iniziato dalle vertical race, gare corte e verticali, per imparare a tenere il fiato e a sostenere le salite.
Lasciatemi sognare pensavo, voglio arrivare a correre nel cielo. E nonostante le numerose diatribe con il mio allenatore, che ha inseguito questo sogno con me e con tanta pazienza, ho continuato con le andature su asfalto, e con i giri lunghi, per imparare ad aumentare il ritmo, a stare sulle gambe tante ore e a correre in discesa.
Ho corso nel cielo, ho sognato sulla terra.
Sono in classifica, 89esima su 129, e il mio prossimo traguardo è completare le ultime due gare per risultare finisher del circuito.
Lasciatemi sognare ancora…