Probabilmente fa parte del mio cammino.
Le mie prime volte sono inevitabilmente dei disastri. Eppure, eppure scatta sempre quel click nel cervello che mi fa innamorare di quello che faccio.
Cos’ è successo stavolta?
Partiamo dall’inizio.
Questo weekend son partita per la Val di Ledro per affrontare la mia prima skyrace (gare di corsa in montagna a fil di cielo, fatte in salita, discesa, cresta, su sassi e rocce) la Ledro Skyrace.
Un percorso magico, panoramico, che sicuramente tornerò a fare. Un’organizzazione speciale, tra i monti e il lago, vicino alle mie valli del cuore.
Nell’immaginario collettivo, visto anche il livello estremamente alto e competitivo di questo ambiente, si dà per scontato che se ci si iscrive ad una gara di skyrace probabilmente si è allenatissimi e bravissimi e meravigliosamente capaci di portarla a termine nel migliore dei modi, e spesso per questo motivo non ci si reputa all’altezza e si rinuncia anche solo a mettersi in gioco.
Ma non è così: infatti quasi sempre siamo noi i giudici più severi di noi stessi, perché ci sentiamo di dover dimostrare il nostro valore con una buona prestazione, quando invece è già ampiamente dimostrato dall’impegno e dallo sforzo del tentativo che si fa.
E io come ho vissuto la mia prima Skyrace?
Io non faccio eccezione. A parte avere la solita ansia pregara, dove metto in discussione tutte le mie capacità e le mie possibilità, dò comunque per scontato che per il semplice motivo che mi sono allenata e ho lavorato tanto, la gara DEVE andare bene.
Ho imparato che non è sempre così. Che il vero coraggio è provarci, a prescindere dal risultato.
La gara non definisce noi stessi, la gara semplicemente ci offre l’occasione di mettere in pratica quello su cui lavoriamo ogni giorno. È un palcoscenico dove si vive un momento preparato con tanta fatica sudore e stanchezza.
E su questo palco ci si misura con mille imprevisti che all’ultimo possono cambiare il finale.
Io ho affrontato questa esperienza.
Ecco come è andata la mia Skyrace
La notte (mattina presto) son stata male, ma ho pensato fosse solo un po’ di agitazione, e son partita ugualmente.
Un buon inizio per la prima volta in gara, ho fatto i primi 6km a ritmo sostenuto e sentendomi in forma. Ero preoccupata inizialmente per le mie scarpe nuove Scott Kinabalu, primo test in gara, che invece si sono dimostrate all’altezza, leggerissime e con buona tenuta. Poi il crollo. Una crisi allergica che avevo sottovalutato. Il cuore ha rallentato i battiti, la testa ha iniziato a girare e per fare i successivi 2km ci ho messo un’ora, trascinando le gambe in modo penoso. Il cuore rallentava sempre di più, ho capito che non ce l’avrei fatta. E allora la decisione più difficile: il ritiro. Non fa parte di me, non fa parte del mio carattere, ma la razionalità e l’istinto di conservazione hanno preso il sopravvento, non aveva senso continuare. Ho consegnato il pettorale, mi hanno aiutato, coccolato, e riportato a valle in macchina, che da sola non ce l’avrei fatta.
La difficoltà di metabolizzare la sconfitta
Oggi, dopo due giorni, sono riuscita a guardare la classifica, e ad affrontare quella sigla, quel RET che significa che la gara non l’hai finita. Che il pettorale non l’hai conquistato. Che hai fallito.
No. Significa solo che in quel momento hai avuto la lucidità e il coraggio di affrontare la rinuncia, per salvaguardare la salute, un istinto che ho acquisito nei miei anni in montagna.
Un amico mi ha detto: lo spirito e le sensazioni prima della partenza ti hanno arricchito.. la coscienza e la maturità di saper aspettare la prossima sfida non è banalità… si impara!
E io credo abbia ragione.
Riparto a tutta per la prossima… la Stava Mountain Race!
Credit Foto Uff Stampa Ledro Skyrace