La storia di Alysia Montaño ha a che fare con la California, con un caldissimo giorno del giugno del 2014 e, come per tutte le storie di atleti al mondo, con dei numeri, con cinque particolari numeri: il 28, 34, l’800, il 35 e il 6.
Alysia ha 28 anni, in quel giugno, e nella sua carriera di atleta, iniziata nel Queens, ha vinto tanto, certo, ma non abbastanza da renderla famosa al jet-set mondiale dello sport; la sua disciplina è una specialità dell’atletica leggera che sta a metà tra le gare veloci veloci a cui tutti siamo stati abituati dai 9 secondi di Bolt e le gare di fondo, infinite, fatte per corpi da supereroi: gli 800 metri piani.
Gli 800 metri piani sono una specialità strana, in cui più che in altre l’allenamento mentale, la capacità di ascolto del proprio corpo e l’astuzia di capire quando sia il momento di spingere e quando quello di riposare sono elementi essenziali, perché i tempi sono abbastanza lunghi da poter fare grossissimi errori ma non abbastanza da poter rimediare a questi. Insomma, roba seria.
In quel Giugno del 2014, a Sacramento, si corre una tappa dell’ U.S. Track and Field Championship, il campionato americano che Alysia ha già vinto per cinque volte, e in quella tappa non succederà proprio nulla di statisticamente rilevante: Alysia uscirà alle batterie, con un tempo di 2 minuti e 32,1 secondi, ben 35, trentacinque, secondi in più del suo record.
Ebbene, Alysia Montaño quel giorno, uscì già alle prime batterie, facendo un tempo disastroso ma correndo gli 800 metri piani per due persone: era alla trentaquattresima settimana di gravidanza, all’ottavo mese, ad un solo mese dalla nascita di sua figlia. La sua corsa, la sua fatica, ha ricordato al mondo intero la forza del corpo umano, capace di trasformarsi, di resistere, di evolversi e superare prove sportive stremanti (800 metri in due minuti, ecco, in metropolitana forse.) anche quando lo deve fare per due persone.
Dalla storia di questo e del secolo scorso abbiamo imparato che lo sport può farsi veicolo di insegnamenti essenziali per ogni persona, perché lo sport a certi livelli diviene un piccolo modello della difficoltà della vita, della fatica, del sacrificio, della convivenza e del tentativo di spingersi sempre più in là; ce l’hanno insegnato Tommy Smith e John Carlos, ce l’ha insegnato Alex Zanardi, la nuotatrice iraniana Elham Asghari e, per quel che mi riguarda, ce l’ha insegnato anche Alysia, dimostrando che la concezione del corpo di una donna incinta come di un corpo fragile, da sollevare da ogni attività se non quella di conservare e far crescere una vita, sia soltanto una visione culturale da battere e da abbattere.
“The world is ignorance, behind pregnant women and exercising”, disse quel giorno Alisya alla stampa, “The truth is, it’s good for the mom and the baby”. Alysia Montaño
Per la cronaca, Alysia vinse nel 2015 il suo sesto campionato americano, facendo un tempo molto migliore di quel giorno, e quei trentacinque secondi, quel ritardo clamoroso rispetto a quello che era il suo record, sono lei:
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